27 Luglio 2011
CRISI SUINI, GLI ALLEVATORI DELLA COLDIRETTI “ASSEDIANO” LA BORSA DI MILANO

CRISI SUINI, GLI ALLEVATORI DELLA COLDIRETTI "ASSEDIANO" LA BORSA DI MILANO
Oltre un migliaio di allevatori provenienti da diverse regioni con i propri maiali hanno “assediato” la Borsa di Milano per denunciare i danni provocati dalla speculazione finanziaria internazionale all’economia reale di uno dei settori simbolo del Made in Italy che fattura in Italia e nel mondo oltre 20 miliardi di euro.
Un patrimonio messo a rischio dalle speculazioni internazionali sulle materie prime che hanno fatto impennare i costi per l'alimentazione degli animali (+17 per cento) e dalla mancanza di trasparenza sul mercato dove ben 3 prosciutti sui 4 venduti in Italia sono ottenuti da maiali stranieri, senza alcuna indicazione per i consumatori. Secondo Coldiretti, le speculazioni su materie prime ed energia sono costate in un anno almeno 300 milioni agli allevatori di maiali italiani con migliaia di aziende che hanno chiuso o stanno per farlo.
Gli allevatori hanno dato in “adozione” alcuni piccoli maiali con tanto di coccarda tricolore agli operatori della borsa perché sostengono di non essere più in grado di farli crescere. “La speculazione è servita a tavola”, “Meno finanza e più stalle”, “Giù le mani dal Made in Italy” sono alcuni degli slogan urlati dai manifestanti “armati” di cartelli e colorate bandiere gialle. 

Natalia Burbello , 43 anni, veterinaria e allevatrice di suini a Verderio (Lecco): “Siamo in una zona, quella della Brianza lecchese dove ci sono grandi salumifici industriali. Noi resistiamo perché ci siamo strutturati con un piccolo allevamento, con un macello a marchio Cee e con i locali dove trasformiamo la carne suina in insaccati che vendiamo direttamente ai consumatori. Dopo gli investimenti che abbiamo affrontato, se vuoi resistere non c’è alternativa. L’aumento delle materie prime provocato dalle speculazioni finanziarie lo stiamo sentendo eccome, ma andiamo avanti grazi alle innovazioni introdotte. Certo spiace che non ci sia ancora l’origine in etichetta mentre ogni giorno Tir provenienti da tutta Europa  vanno verso gli stabilimenti della zona con cosce che poi diventano ad insaputa dei consumatori prodotti Made in Italy”.
 

La speculazione si estende dalla borsa al mercato dove econdo una analisi della Coldiretti al maiale alla braciola i prezzi aumentano di almeno cinque volte per effetto delle distorsioni che si verificano nel passaggio dalla stalla alla tavola con gli allevatori che sono costretti a chiudere le stalle e i consumatori a rinunciare alla carne.
Dal maiale alla braciola il prezzo passa da 1,4 euro al chilo a 6,85 euro al chilo, secondo le elaborazioni sui dati Smsconsumatori. Il risultato è che per ogni euro speso per l’acquisto di carne di maiale appena 15,5 centesimi arrivano all’allevatore, 10,5 al macellatore, 25,5 al trasformatore e ben 48,5 alla distribuzione commerciale.
C’e’ un rischio di estinzione concreto per gli allevamenti italiani e con essi dei prelibati prodotti della norcineria nazionale dalle tavole degli italiani con ben 33 prodotti che hanno ottenuto dall’Unione Europea il riconoscimento di denominazione di origine: dal prosciutto di Parma al san Daniele fino culatello di Zibello. 
 
Tre prosciutti su quattro venduti in Italia sono in realtà ottenuti da maiali allevati all’estero, ma i consumatori non lo sanno perché non è obbligatorio indicare in etichetta la provenienza. L’Italia, ricorda la Coldiretti, ha importato 62 milioni di cosce di maiale destinate, con la trasformazione e la stagionatura, a diventare prosciutti “Made in Italy” con un inganno nei confronti dei consumatori e danni per i produttori che subiscono una concorrenza sleale.
Anche perché mentre negli allevamenti italiani i maiali sono alimentati con prodotti di qualità sulla base di rigorosi disciplinari di produzione “Dop”, all’estero si usano spesso sottoprodotti se non addirittura sostanze illegali come è accaduto nel recente scandalo dei mangimi alla diossina prodotti in Germania e utilizzati negli allevamenti di polli e maiali.

Sul mercato è facile acquistare prosciutti contrassegnati dal tricolore, con nomi accattivanti come prosciutto nostrano o di montagna che in realtà non hanno nulla a che fare con la realtà produttiva nazionale. Una situazione favorita dall’inerzia dell’Unione Europea che dopo i recenti allarmi sanitari ha deciso di estendere con un regolamento l’obbligo di indicare in etichetta la provenienza della carne di maiale, al pari di quanto è stato fatto con quella bovina dopo l’emergenza mucca pazza, ad esclusione però degli alimenti trasformati come salami e prosciutti dove più spesso si nasconde l’inganno.
Gli allevatori della Coldiretti chiedono che vengano emanati i provvedimenti applicativi previsti dalla legge nazionale sull’etichettatura di origine approvata all’unanimità dal Parlamento italiano all’inizio dell’anno che prevede l’obbligo di indicare l’origine per tutti gli alimenti.
La carne di maiale fresca o trasformata è la più acquistata dagli italiani che ne consumano ben 37,2 chili a testa ma in dieci anni - sottolinea la Coldiretti - si è ridotto dell’85 per cento il numero delle stalle italiane che è passato dai 193mila del 2000 alle 26mila attuali dove si allevano 9,3 milioni di maiali soprattutto in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte e Veneto ma anche l’Umbria e la Sardegna sono regioni vocate.
Una situazione che rischia di aggravarsi con effetti anche occupazionali nella filiera della carne suina dove lavorano in Italia circa 120mila gli addetti tra allevamento, macellazione, trasformazione e distribuzione.

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